Rinuncia all’eredità

“Sono sposato in seconde nozze, in separazione di beni. Entrambi abbiamo figli da precedente matrimonio che vorremmo tutelare. Mi hanno detto che, con la rinuncia all’eredità di mia moglie, il mio patrimonio andrebbe unicamente ai miei figli: quindi la casa dove oggi abitiamo, di mia proprietà, ed il mio patrimonio finanziario. Ovviamente, mia moglie manterrebbe l’usufrutto in vita della casa e, la mia pensione di reversibilità”. Chi mi sottopone il quesito è un padre che “vuole sistemare le cose”. In linea di principio, il ragionamento è corretto, se non fosse che la dichiarazione di non voler accettare il patrimonio lasciato dal defunto (con testamento o senza) si prescrive (cioè può essere esercitato) in dieci anni dal giorno della morte del defunto. Termine che può essere abbreviato con una “azione interrogatoria“. Chi fa la dichiarazione di rinuncia, viene considerato come se non fosse mai stato chiamato (effetto retroattivo della rinuncia – art. 521 cod. civ.), con due sole eccezioni:

  • trattenere la donazione ricevuta, oppure
  • domandare il legato a lui fatto sino al valore massimo della porzione disponibile (i giudici ritengono che il coniuge superstite del defunto, anche se rinuncia all’eredità, può trattenere il diritto di abitazione e di uso, trattandosi di un diritto previsto dall’art. 540 cod. civ.).

Tuttavia, essendo vietato un eventuale patto, contratto, atto di rinuncia in vita all’eredità, occorre solo sperare che un coniuge, alla morte dell’altro, ne rispetti le volontà e, mantenga l’impegno di rinunciare alla sua parte di eredità.

E, se il coniuge non dovesse rinunciare all’eredità? Cosa può fare in vita il coniuge affinché veda rispettate le sue scelte dopo la sua morte?

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antonio bellecci

Sono un architetto delle scelte La mia mission: scoprire il tuo perché

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